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Risoluzione del contratto di leasing finanziario

Recentemente la giurisprudenza ha chiarito quale sia la disciplina applicabile nell’ipotesi di risoluzione del contratto di leasing finanziario in data anteriore alla dichiarazione di procedura concorsuale e, viceversa, quale siano le conseguenze nel caso di scioglimento del contratto da parte della Curatela.
A tale riguardo vengono in considerazione due recenti pronunce della Suprema Corte e, precisamente: Cass., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8687 e Cass., sez. I, 9 febbraio 2016, n. 2538.
Prima di esaminare le suindicate statuizioni è opportuno chiarire che nel caso di contratti di leasing – indifferentemente che si tratti di leasing di godimento o traslativo – vengono in considerazione le norme di cui agli artt. 72 e 72 quater l.f., rubricate rispettivamente “rapporti pendenti” e “locazione finanziaria”.

Il primo dei due articoli disciplina la sorte di tutte le tipologie di contratto ancora pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, ossia di tutti quei contratti che risultano perfezionati ma non ancora compiutamente eseguiti da entrambe le parti al momento della dichiarazione della procedura concorsuale. L’art. 72 quater l.f., invece, è specificatamente dedicato ai contratti di locazione finanziaria e nei primi tre commi disciplina la sorte dei contratti di leasing in caso di fallimento dell’utilizzatore, mentre nel quarto comma il caso di fallimento del concedente.
Il quinto comma dell’art. 72 l.f. prevede che “l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda di risoluzione ex art. 2653, n. 1, c.c.”. Pertanto, nell’ipotesi di risoluzione del contratto prima dell’intervenuto fallimento dell’utilizzatore, trova pertanto applicazione l’art. 72 quinto comma l.f., che prevede, appunto, l’opponibilità alla massa creditoria dell’azione di risoluzione promossa prima del fallimento.
Ciò detto, va ricordato che la distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento va apprezzata di valutata di caso in caso secondo i canoni elaborati negli anni dalla giurisprudenza e così riassumibili: il leasing si considera “traslativo” in tutti i casi in cui alla scadenza del contratto il bene conserva ancora un valore superiore al prezzo di riscatto convenuto e, quindi, il contratto stesso di fatto è finalizzato ad un trasferimento della proprietà al termine della durata del contratto; mentre si definisce leasing “di godimento” nel caso in cui i canoni versati costituiscono esclusivamente il corrispettivo per l’utilizzo e la fruizione del bene, considerato che quest’ultimo al termine del contratto avrà un valore residuale minimo.
Ne deriva, ai fini della determinazione del credito da ammettere al passivo, che troveranno rispettivamente applicazione l’art. 1526 c.c. (in caso di leasing traslativo) ovvero l’art. 1458 c.c. (in caso di leasing di godimento).
In caso di leasing traslativo il Curatore avrà diritto a vedersi restituite le rate già versate, mentre la società concedente avrà diritto di ottenere, oltre alla restituzione del bene, un equo compenso per l’intero periodo in cui il bene è stato utilizzato dalla fallita, oltre all’eventuale risarcimento del danno. Va, tuttavia, considerato che la maggior parte dei contratti di locazione finanziaria prevede oramai l’espresso accordo per cui le rate pagate restino acquisite dalla società concedente e non restituite all’utilizzatore – nemmeno in caso di risoluzione – e, conseguentemente, il leasing potrà trattenere quanto già incassato e richiedere (anziché l’equo compenso) il pagamento delle rate scadute e non pagate fino alla risoluzione, nonché l’eventuale risarcimento del danno per inadempimento prima del fallimento.
In caso di leasing di godimento, invece, trova applicazione come detto l’art. 1458 c.c. che non prevede la restituzione delle rate pagate.
In tal caso quindi il Curatore sarà tenuto esclusivamente a riconoscere alla società concedente il pagamento delle rate scadute e non pagate fino alla risoluzione, fatto salvo l’eventuale risarcimento del danno per inadempimento prima del fallimento.
Diverso è il caso in cui il Curatore decida di non subentrare nel contratto di leasing pendente alla data di fallimento, ma, svolta una valutazione di convenienza patrimoniale, opti per lo scioglimento dal rapporto contrattuale. In tal caso viene in applicazione l’art. 72 quater l.f. che prevede una disciplina unitaria per tutte le tipologie di leasing.
Il Curatore, quindi, una volta esercitato il diritto potestativo di recedere dal rapporto di locazione finanziaria (indifferentemente traslativo o di godimento) sarà tenuto alla restituzione del bene in favore della società concedente, ma avrà diritto a ricevere dalla società di leasing l’eventuale eccedenza tra quanto ricavato dalla società concedente in sede di ricollocazione del bene a valori di mercato e il credito residuo in linea capitale (inteso come la somma dovuta dall’utilizzatore esclusivamente per canoni non scaduti che residuano successivamente alla data del fallimento).
La concedente potrà trattenere le rate già incassate ed insinuarsi altresì al passivo per richiedere il riconoscimento della differenza tra il credito vantato alla data di fallimento (comprensivo in questo caso sia di canoni scaduti che dei relativi interessi) e quanto ricavato dalla riallocazione del bene.
Con le sentenze sopra menzionate la Suprema Corte ha chiarito la disciplina applicabile alle varie fattispecie, sulla base dello stato effettivo del rapporto contrattuale intercorrente tra leasing e fallimento al momento della dichiarazione della procedura concorsuale.

 


Studio Legale Maurizio Ascione Ciccarelli – avvocato Verona – iscritto all’ ordine avvocati Verona

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